gomorra e il divo
la rinascita del cinema italiano, si dice.
non so se sia una rinascita, quello che è certo è che sono due film pazzeschi, fatti da due registi relativamente giovani che hanno sfondato a cannes con una giuria presieduta da un americano come sean penn.
si tratta di due film complementari, e quindi opposti, nella tecnica, nella sceneggiatura, nelle immagini.
dove uno, gomorra, va alla ricerca dell'iper-realismo più estremo, l'altro, il divo, punta al grottesco, all'inquietudine che viene dalla cupezza delle immagini, dai ralenti, dalla musica.
gomorra è un film costruito con una sceneggiatura di ferro, ma apparentemente girato come un documentario. pochissimi attori professionisti (servillo gigante), molti ragazzini presi dalla strada, alcuni ex-detenuti diventati attori. la rappresentazione di una napoli che tutti conosciamo e immaginiamo, ma mai avremmo pensato così ruvida, dà il senso di un nuovo dopoguerra, di un deserto sociale e istituzionale lasciato in pasto alla camorra e alle sue regole, ormai da quarant'anni o più. è incredibile pensare che sia vero quello che vediamo nel film; è assolutamente fuori dal mondo credere che nel 2008, in europa, nel cuore della democrazia, sia possibile un tale sfacelo.
la musica dei cantanti neomelodici napoletani, compresa una straordinaria maria nazionale, segue il filo della storia, anzi delle storie, che si sfiorano senza toccarsi mai. dimenticate il libro. anzi, se lo avete letto, pensatelo: il film ha lo stesso taglio, un documentario romanzato, e artistico. però il film è un'opera secondo me degna di un film di rossellini, mentre il libro, dal punto di vista strettamente letterario, è un buon libro, non straordinario.
se gomorra guarda alla strada, ai ragazzini che crescono nelle strade di napoli, il divo guarda ai palazzi del potere. palazzi enormi, vuoti, lussuosi, in cui una intera generazione politica ha vissuto, impunita, e ancora continua a vivere. i palazzi del potere sono la rappresentazione anche degli uomini che li hanno vissuti. andreotti, un servillo che dà forse il suo meglio, diventa anch'esso un simbolo. il simbolo di una classe dirigente impenetrabile, inconoscibile, completamente distaccata dalla realtà, o forse troppo realista, così realista da diventare più che cinica, crudele. sorrentino racconta tutta la vicenda di andreotti e della sua corrente come se fossero una banda di iene: c'è dentro scorsese, tarantino, john woo. la musica completamente dissociata dall'azione ricorda kubrik. le luci, i ralenti, la tecnica di ripresa rende sorrentino un maestro vero: il suo limite, l'eccesso di "stile", di ricercatezza, diventa il suo punto di forza in questo caso, rendendo tutto grottesco, tra il comico e la tragedia. caselli che si mette la lacca, sbardella che non fa altro che magna', cirino pomicino (un grande buccirosso) balla come un vero discotecaro. una presa per il culo, complessiva, del mondo politico italiano. anche se sean penn probabilmente non sa neanche chi siano i protagonisti della vicenda andreottiana (circa 20 anni di storia italiana), ne ha evidentemente letto il respiro universale, di marionette gestite solo dalla sete di potere. un film complessissimo, pieno di sfumature, in cui andreotti, come nella realtà, parla solo per battutte e nasconde in un volto da sfinge le sue reali mosse per controllare ciò che accade. le vittorie, le sconfitte, le battaglie.
due film stupendi, davvero. se garrone arriva al suo apice, dopo essere passato dal bellissimo l'imbalsamatore, poi primo amore, anch'esso bello, sorrentino, che aveva avuto una battuta di arresto con l'amico di famiglia, torna al livello (e forse lo supera) di le conseguenze dell'amore.
due film da vedere in sequenza, diversissimi, ma due facce della stessa medaglia. rappresentazione dell'italia, e quindi molto italiani, ma anche universali.
sarà rinascita del cinema italiano? non so. ma sono due capolavori.
poi subentra il gusto personale, e in una mia personale gara, ho preferito gomorra. asciutto, crudo, violento, stilisticamente perfetto, attori incredibili. il divo è, per me, leccato, fighetto...ma mentre scrivo mi rendo conto che sbaglio perchè, tutti e due mi sono piaciuti moltissimo.
non so se sia una rinascita, quello che è certo è che sono due film pazzeschi, fatti da due registi relativamente giovani che hanno sfondato a cannes con una giuria presieduta da un americano come sean penn.
si tratta di due film complementari, e quindi opposti, nella tecnica, nella sceneggiatura, nelle immagini.
dove uno, gomorra, va alla ricerca dell'iper-realismo più estremo, l'altro, il divo, punta al grottesco, all'inquietudine che viene dalla cupezza delle immagini, dai ralenti, dalla musica.
gomorra è un film costruito con una sceneggiatura di ferro, ma apparentemente girato come un documentario. pochissimi attori professionisti (servillo gigante), molti ragazzini presi dalla strada, alcuni ex-detenuti diventati attori. la rappresentazione di una napoli che tutti conosciamo e immaginiamo, ma mai avremmo pensato così ruvida, dà il senso di un nuovo dopoguerra, di un deserto sociale e istituzionale lasciato in pasto alla camorra e alle sue regole, ormai da quarant'anni o più. è incredibile pensare che sia vero quello che vediamo nel film; è assolutamente fuori dal mondo credere che nel 2008, in europa, nel cuore della democrazia, sia possibile un tale sfacelo.
la musica dei cantanti neomelodici napoletani, compresa una straordinaria maria nazionale, segue il filo della storia, anzi delle storie, che si sfiorano senza toccarsi mai. dimenticate il libro. anzi, se lo avete letto, pensatelo: il film ha lo stesso taglio, un documentario romanzato, e artistico. però il film è un'opera secondo me degna di un film di rossellini, mentre il libro, dal punto di vista strettamente letterario, è un buon libro, non straordinario.
se gomorra guarda alla strada, ai ragazzini che crescono nelle strade di napoli, il divo guarda ai palazzi del potere. palazzi enormi, vuoti, lussuosi, in cui una intera generazione politica ha vissuto, impunita, e ancora continua a vivere. i palazzi del potere sono la rappresentazione anche degli uomini che li hanno vissuti. andreotti, un servillo che dà forse il suo meglio, diventa anch'esso un simbolo. il simbolo di una classe dirigente impenetrabile, inconoscibile, completamente distaccata dalla realtà, o forse troppo realista, così realista da diventare più che cinica, crudele. sorrentino racconta tutta la vicenda di andreotti e della sua corrente come se fossero una banda di iene: c'è dentro scorsese, tarantino, john woo. la musica completamente dissociata dall'azione ricorda kubrik. le luci, i ralenti, la tecnica di ripresa rende sorrentino un maestro vero: il suo limite, l'eccesso di "stile", di ricercatezza, diventa il suo punto di forza in questo caso, rendendo tutto grottesco, tra il comico e la tragedia. caselli che si mette la lacca, sbardella che non fa altro che magna', cirino pomicino (un grande buccirosso) balla come un vero discotecaro. una presa per il culo, complessiva, del mondo politico italiano. anche se sean penn probabilmente non sa neanche chi siano i protagonisti della vicenda andreottiana (circa 20 anni di storia italiana), ne ha evidentemente letto il respiro universale, di marionette gestite solo dalla sete di potere. un film complessissimo, pieno di sfumature, in cui andreotti, come nella realtà, parla solo per battutte e nasconde in un volto da sfinge le sue reali mosse per controllare ciò che accade. le vittorie, le sconfitte, le battaglie.
due film stupendi, davvero. se garrone arriva al suo apice, dopo essere passato dal bellissimo l'imbalsamatore, poi primo amore, anch'esso bello, sorrentino, che aveva avuto una battuta di arresto con l'amico di famiglia, torna al livello (e forse lo supera) di le conseguenze dell'amore.
due film da vedere in sequenza, diversissimi, ma due facce della stessa medaglia. rappresentazione dell'italia, e quindi molto italiani, ma anche universali.
sarà rinascita del cinema italiano? non so. ma sono due capolavori.
poi subentra il gusto personale, e in una mia personale gara, ho preferito gomorra. asciutto, crudo, violento, stilisticamente perfetto, attori incredibili. il divo è, per me, leccato, fighetto...ma mentre scrivo mi rendo conto che sbaglio perchè, tutti e due mi sono piaciuti moltissimo.
1 commento:
ho visto ieri gomorra, da solo, in un cinema deserto. l'ho preferito al libro perchè l'ho trovato molto più ruvido e diretto, privo dello stile enfatico pesantissimo con cui è scritto il libro.
comunque è una mazzata nei denti, con bastonata di ritorno sulle gengive. ne parlo in giro e tutti cambiano argomento, o sdrammatizzano con un " dai lo si sapeva già"; e questo lo rende ancora più reale, ancora più inquietante....
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