23.8.08

parentesi necessaria: eddie vedder live@salle wilfried-pelletier, montreal, qc

nonostante non ascolti più molto i pearl jam (ho smesso di comprare i loro dischi dopo yield, 1998), nonostante into the wild non mi sia particolarmente piaciuto, nonostante tutto, l’idea di andare a vedere eddie vedder solo con chitarra in un teatro mi mette una certa agitazione emotiva, o meglio “emozione”.

l’idea di vedere ev dal vivo mi fa ripiombare indietro nel tempo di circa 8 anni, al 22 giugno 2000, quando vidi i pearl jam dal vivo a milano, al forum di assago .no code tour. il giorno dopo, il 23 giugno 2000, alle 9 di mattina, mi laureavo.

ho conosciuto i pearl jam tardi, nel 93-94. più complessi, meno diretti, meno punk (non nell’attitudine) dei nirvana. meno metal, meno popolari degli alice in chains o dei soundgarden. più vicini a un blues sporco, a un rock ‘n roll ruvido. tutti questi gruppi erano grunge, secondo alcuni. in realtà erano molto diversi tra loro. kurt cobain è morto, layne stayley è morto, chris cornell fa il fotomodello con gli audioslave, quindi è morto anche lui. eddie vedder sopravvive. come i pearl jam. sono diventati un mito, ma non stanno facendo la fine degli u2, cosa non facile quando sei un’icona generazionale.

i pearl jam fanno uscire i dischi in semi-sordina. non fanno video e quindi non vanno su mtv. non fanno pubblicità. fanno ancora molti concerti, quando gli va. sono impegnati in mille battaglie civili, non fuffa come gli u2.

ev, ormai ultraquarantenne, si lancia nell’esperienza solista con un certo successo, soprattutto nelle colonne sonore. prima dead man walking, poi con into the wild, cementa un rapporto di amicizia con sean penn. con into the wild tira fuori un pezzo, guaranteed, che vince il golden globe come miglior pezzo per colonna sonora.

ma il punto non è questo.

il punto è che vado a vedere ev dal vivo. in un teatro. a montreal. suona da solo. sono emozionato, cazzo.

all’ingresso mi fanno lasciare la macchina fotografica, porca miseria ci tenevo a strappare qualche foto. invece nulla. vabbè, penso, non sono solo io, l’avranno levata a tutti.

la salle wilfried-pelletier a place des arts è enorme, e piano piano, si riempie. diciamo, 2000 posti. io sono seduto benissimo. centrale. in quindicesima fila. sono vicinissimo.

la serata è aperta da tale liam finn, cantautore ventiquattrenne neozelandese lanciato (e prodotto) da ev. non lo conosco, ma sin dall’inizio si capisce che è uno forte. da solo, una ragazza che canta con lui, suona tutti gli strumenti, looppandoli live. energetico, divertente, coinvolgente. piace molto a me e anche al resto del pubblico. il cd esaurisce.

alle 21.30 le luci del teatro si abbassano e si sente una versione acustica di un pezzo che non riconosco. il sipario si apre, entra ev, il teatro in delirio, e i flash non smettono di illuminare la sala. bastardi, ma solo a me hanno tenuto la macchina fotografica?

c’è una scenografia: un fondale dipinto con rappresentata una strada e delle case; una piccola ricostruzione di una camera, in cui ci sono gli strumenti, cose da bere, ecc.

ev saluta e attacca l’acustica. una voce così ce l’hanno in pochi. per la qualità che ha e per quello che rappresenta e ha rappresentato all’inizio degli anni 90, dai temple of the dog ai pearl jam. suona chitarra, mandolino, chitarrine di vario genere. canta i pezzi di into the wild. canta dead man walking. regala qualche perla dei pearl jam (wishlist, un accenno di rearviewmirror, nothingman,...).

l’impressione è che cerchi molto il rapporto con il pubblico. parla molto. fa battute su stone gossard e mike mcready. su wishlist un tizio in quarta fila sta in piedi tutto il tempo e guida il coro del teatro. alla fine del pezzo lui lo invita sul palco a bere una birra con lui. è una via di mezzo tra l’imbarazzato e il divertito.

dopo guaranteed si sente chiaramente, nel silenzio un tizio che gli urla in italiano:”ma ti rendi conto di che voce hai?” e lui, dal palco, sonoramente, in italiano: “vaffanculo!”. l’italiano non disdegna mai di fare lo spettacolino. ma ev capisce l’italiano e gli risponde per le rime. geniale.

suona anche con liam finn. lo spettacolo è emozionante, anche se lui è strano. si divide tra un’immagine ruvida, in cui sputa per terra mentre canta, si muove isterico anche da seduto; a una accondiscendente, non voglio dire ruffiana, nei confronti del pubblico. come se cercasse una conferma. che peraltro ha, potentissima.

lo show si chiude dopo due ore, quasi tre, di musica eccellente, con il pezzo hard sun. quasi tre ore in cui lui, da solo, tiene in mano la scena con un fascino impressionante, a parte la mia piccola nota di cui sopra che mi ha un po’ colpito.

da buon fan, alla fine dello spettacolo, recupero la macchina fotografica e mi piazzo, insieme ad altri 50, all’uscita degli artisti per catturare almeno un’immagine di ev. aspetto oltre un’ora.

nel frattempo, a montreal nord scattano degli scontri perchè la polizia ha ucciso un ragazzo di 17 anni non si sa bene per quale motivo. come nelle banlieu parigine, inizia la rappresaglia della periferia, e i giovani mettono a ferro e fuoco un pezzo di città.

siamo rimasti in 10 ad aspettare ev, quando ci dicono che lui e liam finn sono usciti da un’altra porta.
non so se lo rivedrò mai più. è stata una serata piuttosto forte per me.

ps. non si trovano nè immagini nè video del live solo di eddie vedder. anche i vecchi video, su youtube, sono impossibili da inserire perchè bloccati da sonybmg. se volete vedere qualcosa, su facebook, nella pagina di eddie vedder, ci sono un po’ di bei video.


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la versione di massimo - montreal, quebec

ci siamo persi la cerimonia di apertura delle olimpiadi. e questa è la prima notizia sul nostro arrivo a montreal.

con un volo air canada comprato da un giorno all’altro, sbarchiamo al trudeau airport dove c’è un clima temperato.

ebbene sì, devo parlare di 4 giorni abbondanti a montreal, quindi mettetevi l’anima in pace, se vi va di leggere questo post, perchè sarà lungo, e non può essere altrimenti.

carichi dei nostri bagagli, cerchiamo, come i barboni, di sbirciare notizie dai giornali del giorno prima o da servizi sui plasma dell’aeroporto sulle prime battute di pechino 2008.

nel frattempo arriviamo con un bus alla stazione berri UQUAM, nei pressi dell’università, e ci incamminiamo verso la residenza studentesca dove abbiamo prenotato una DOPPIA con letti SEPARATI per qualche giorno.

per la strada, edino, novello tiresia (anche per la reale cecità da cui è affetto), si butta nella sua prima profezia (ce ne sarà un’altra, straordinaria): “oh, il tempo è buono, secondo me abbiamo culo, non piove...”. dopo circa 3 minuti, una nuvola inquietantemente nera ricopre il cielo di montreal. una goccia, due, un inferno di acqua. ci ripariamo sotto un cornicione e osserviamo le reazioni dei quebecchesi alla pioggia. ma non una pioggerellina così, tanto per fare, un diluvio possente.

un tizio con la spesa e i sacchetti pieni di cibo e carta igienica, cammina, in maniche corte e all star, tranquillo, come se facesse una passeggiata sotto il sole. fradicio, lui e la carta igienica. io e edino ci guardiamo. un biciclista pedala indifferente, in pantaloncini e maglietta bianca. soprannominato mister maglietta bagnata. un tizio in scooter, sandali, bermuda e camicia hawaiana, si ferma giustamente al semaforo rosso, come se fosse una limpida giornata primaverile. al verde, riparte. tutto normale, se non fosse che vengono giù alcune tonnellate di acqua.

i quebecchesi non soffrono la pioggia. sanno che durerà poco. è gente abituata ai tempi duri, alla povertà, alla rigidità climatica (si va fino a –25° in inverno). ci sono già stato a montreal, per lavoro, ma mi rendo conto che non avevo visto quasi nulla, sarà perchè lavoravo, sarà perchè faceva un freddo insostenibile; questa volta ne vedo le sfumature.

montreal è un casino di realtà cultural-sociali: i canadesi che parlano solo francese e non capiscono l’inglese, quelli che parlano entrambi, quelli che parlano solo inglese, più una notevole quantità di immigrati che hanno cambiato la faccia di buona parte della città (la petite italie ha circa 20.000 italiani). disagio sociale ce n’è, soprattutto nelle periferie nord, ma in generale sembra una città florida.

due stronzi ci accolgono al nostro ostello. il letto è così striminzito e non separato che prendiamo due stanze. alla fine ci troviamo bene e paghiamo oggettivamente poco.

montreal è straordinaria.

i teatri di place des arts, lo stordimento di rue sainte catherine, la nightlife alternativa di rue saint denis e rue saint laurent, il fighettame di mont royale, il turismo e le gallerie d’arte della città vecchia, il rilassamento al porto vecchio, il delirio commerciale della città sotterranea.

è una città piccola, un incrocio così riuscito tra europa e stati uniti che arriva all’obiettivo di prendere il meglio delle due culture. senza dimenticare che il quebec, e in particolare montreal, hanno una vivacità culturale impressionante: sono i primi a utilizzare le nuove tecnologie nel teatro (robert lepage e non solo), hanno reinventato il circo (cirque du soleil, cirque eloize, ecc.), hanno alcuni dei gruppi musicali più interessanti del momento (arcade fire, ecc.), sono avanti come pochi al mondo nella danza (marie chouinard, e mille altri...), e non dimentichiamo le icone pop (celine dion, simple plan, nickelback, avril lavigne...). proprio come in italia....

un posto dove vivere. domani. se non fosse per il clima che uccide.

ma i quebecchesi contemporanei sono figli e nipoti di generazioni di gente che dall’europa rimase abbandonata in questi spazi meravigliosi e gelidi: i ricchi ritornavano nella loro francia, i poveri rimanevano qui. gente con le palle. gente che ha voglia di divertirsi, di bere, piena di ironia.

ed è proprio in questo contesto che finiamo a un party discotecaro anni 80 in zona mont royal. fuori ci sono 17 gradi, per loro fa un caldo porco. in tutta la giornata il tempo è cambiato 16 volte. mi sono tolto e messo il maglione altrettante volte. caldo porco-freddo della madonna. continuamente.

comunque, per loro è estate, quindi, per evitare il “caldo” nel locale sparano aria condizionata a temperatura glaciale. si balla e si suda, ma il sudore diventa immediatamente una patina ghiacciata sul corpo. broncopolmonite in agguato.

in ogni caso, si balla. con musica anni 80. la gente impazzisce. letteralmente. ballano come matti su nina hagen e van halen, i primi depeche mode e i kiss, i love rock ‘n roll e i new order. sono così esaltati che ci viene qualche dubbio...soprattutto quando mettono gli ac/dc e la isla bonita di madonna (dopo like a virgin e holyday).

comunque, la serata è buona. edino si diverte molto, balla come un esibizionista, ma io gli tengo botta volando su un palco che funge da cubo. le donne e gli uomini quebecchesi bevono. e farebbero bene a bere di meno, dato che il peso medio, rispetto ad halifax, si alza di qualche decina di kg. ormai la media si aggira sui 150. enormi. gigantesche. tutte. e molto spesso, mi spiace dirlo, dei rafani. ma proprio brutte brutte.

la mattina dopo, colgo su un giornale la notizia che eddie vedder suona, solo, in un teatro a place des arts. volo a comprare il biglietto. che città meravigliosa.

ma qui c’è bisogno di una parentesi imprevista.

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22.8.08

la versione di massimo - l'arrivo e halifax

dopo un viaggio colorato da un'insalata condita con un gel all'olio e basilico e un terribile film con christina ricci con la faccia da maiale, la porta del canada per noi è halifax, come per quelli del titanic, che affondò al largo del mare del labrador e i resti del quale furono portati ad halifax. speravano di arrivare a new york, ma arrivarono solo ad halifax, in una nave fantasma.

nel nostro mondo dei sogni dovremmo partire da halifax, ns, con la macchina, e arrivare a montreal, qc. sono 1.200 km attraverso nova scotia, new brunswick e quebec.

halifax ci accoglie con un grigiore umido e piovoso che fa onore al nome di “nova scotia”. tempo da highlander.

ci mettiamo un giorno e mezzo per capire che fa cagare. ma alla fine il giudizio è inequivocabile.

ricorda una città del nord dell’inghilterra: industriale, con qualche rimasuglio vittoriano colonico.

sì, si mangiano le aragoste, ma sono quelle aragostacce atlantiche che non sanno di niente, se non d’acqua.

la cosa più interessante è che ci sono i resti del titanic. un po’ macabra come cosa, ma intrigante. se ci fossero anche dei pezzi di di caprio e kate winslet, un braccio, il fegato, andremmo alla mostra, ma alla fine decidiamo che celine dion, quebecchese, ci basta per ricordare il titanic.

dormiamo in un b&b molto inglese. abbiamo chiesto letti separati, ma sicuramente ci hanno preso per froci.
edo sperimenta i vari set di tappi per le orecchie che si è portato, conoscendo la mia potenza sonora notturna: due paia in spugna, di quelli classici, un paio più leggero, stile quelli degli aerei, e poi quelli di cera, i più sicuri, ma anche i più fastidiosi. gli consiglio vivamente quelli di cera.

il porto vecchio è vecchio, effettivamente. ci mangiamo un panino all’aragosta e un hamburger, e dal giorno dopo per tutto il resto del viaggio, il centro delle nostre conversazioni delle prime due ore della giornata sarà la situazione intestinale: quando cagare, dove, con che tecnica, come stai di stomaco, in che modo fare colazione per favorire la naturale regolarità come la marcuzzi. io sono stato di merda (letteralmente) per 4 giorni. a livello di antibiotico. altro che activia, aragosta del mare della nova scotia. molto efficace per gli stitici.

la sensazione di finis terrae è pesante. sembra di essere ai confini del mondo. poca gente in giro, molti punk reietti, come i pirati.

ci devono essere stati i pirati da queste parti, ma non capiamo dove, quando e perchè. però da tutte le parti ci sono bandiere, insegne, ecc. la loro ombra aleggia. un popolo di pirati.

pirati, navi fantasma, punk, grunge. l’atmosfera comincia a piacermi.

c’è la festa degli artisti di strada, e qualcuno non è male. il giudizio su halifax in quanto città non cambia, ma le persone incuriosiscono.

sembra di essere in un film di gus van sant. moltissimi giovani, molto grunge. un paio di artisti di strada non sono neanche male, ma io ho la pdc. e quelli che mangiano il fuoco mi fanno venire da vomitare, nonostante siano bravi e inglesi.

seattle potrebbe essere così. o poteva essere così nei primi anni 90. l’atmosfera è quella di last days, i giovani quelli di paranoid park.

nonostante l’aspetto esteriore terribile, in questa città, nei mesi invernali, quando il vento del labrador soffia forte e il termometro scende a –40°, probabilmente si riuniscono delle comunità sotterranee, invisibili all’occhio del turista che rimane per 2 giorni. non ci sono negozi di dischi, però, e questo è strano in un luogo così.

nel parco centrale si ritrovano i giovani per giocare a calcio e a baseball. che intruglio americano/europeo! c’è un parco per skaters, come in paranoid park appunto. portland non deve essere molto diversa da qui. i ragazzini vanno in skate e hanno una chitarra acustica collegata a una cassa marshall distrutta. suonano i nirvana...e cantano, con molte bottiglie di birra locale aperte.

è una città nordamericana. una versione brutta di boston. le tracce degli inglesi sono molto visibili.

la cittadella è piccola: quando vediamo dei tizi vestiti in costume ottocentesco e il prezzo di ingresso, decidiamo che ci basta vederla da fuori.

ci suona elton john, a ottobre. poi avril lavigne, e lenny kravitz. che strana cosa. una città minuscola, bruttina, ai confini del mondo, con star internazionali. è come se, che ne so, venissero a suonare a grosseto i radiohead. strano.

la città è bruttina, dicevo. e le donne pure. cominciamo ad avere dei dubbi sull’alimentazione, dato che il peso medio femminile è di un centinaio di kg.

mentre ci interroghiamo su halifax e sul ruolo degli inglesi e degli americani, sui probblemi dei ggiovani di halifax, sulla noia, e sull’underground, sulle aragoste e le situazioni intestinali, fellini e il cinema di gus van sant, ci rendiamo conto che dobbiamo affittare la macchina, e, come schiantandoci su un muro, scopriamo che TUTTO IL MONDO è venuto ad halifax a prendere una macchina da tutte le agenzie più grandi. poi anche quelle più piccole. il mondo è andato in tutta la cazzo di nova scotia ad affittare una macchina. impossibile trovarne una prima del 16 agosto. in tutto il new brunswick, pure. altro che fins terrae. il mondo viene qui per affittare macchine.

piano b: inesistente.

corriamo ai ripari. abbiamo un volo montreal-halifax il 19 agosto. compriamo un altro volo e andiamo subito a montreal. riusciamo a prenotare una macchina.

cambia la prospettiva del viaggio. da montreal andremo verso nord, dentro il quebec. va bene lo stesso. certo, il volo è un po’ extrabudget, ma halifax può bastare per 1 giorno e mezzo...

le olimpiadi non sono ancora ancora cominciate.

voto alla città in sè: 4; voto all’atmosfera e ai cittadini: 7.

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20.8.08

la versione di massimo - premesse


lo dico subito, nel modo piu' spudorato possibile, per cercare di evitare coloro che mi accuseranno di essere presuntuoso, eccessivo, elitario. il titolo di questo post e di quelli che seguiranno nel racconto del viaggio in canada, COPIA il titolo di un romanzo tra i piu' belli letti nell'ultimo periodo che e' la versione di barney di mordecai richler, autore anglofono di montreal, quindi del quebec, pluripremiato e scomparso nel 2001.

questo NON significa che io voglia copiare anche il contenuto del romanzo che, tra l'altro, non c'entra nulla con questi post. se quella e' la versione della vita di barney panofsky, ebreo, anglofono, quebecchese, vista da lui stesso (una vita eccessiva, appassionata, alcolica, artistica), quindi e' una sorta di autobiografia, i miei post sono invece un racconto conciso di 14 giorni di canada, o meglio, di quebec.

il titolo viene fuori per alcuni motivi: il primo e' che mi piace; il secondo, e' che e' la mia versione dei 14 giorni in canada (ci sara' anche una versione di edo); il terzo e' che si tratta di un autore di montreal, che parla di quebec nel libro, che esprime molto del carattere allegro, leggero e contemporaneamente drammatico, ironico anche nella tragedia (vedete anche le invasioni barbariche, non la roba della bignardi, il film di arcand...si capisce bene cosa voglio dire; cerchero' di renderlo comunque piu' chiaro nei post successivi) dei suoi abitanti; il quarto e' che ho cercato in diverse librerie il suo saggio satirico/polemico oh montreal! oh quebec! ma non c'e' stato verso di trovarlo. censura francofila?

questa e' la prima premessa.

la seconda premessa e' che si tratta di un resoconto parziale, a memoria, dei giorni quebecchesi, e i post si dividono in "capitoli": il primo e' l'arrivo e halifax, nova scotia, il secondo e' montreal, quebec, il terzo e' un po' di quebec.

la terza premessa e' che parlero' del mio compare di viaggio, il mio amico edino (ci conosciamo da 18 anni, siamo vecchi, ma in fondo ancora mangiamo mezza banana col pane per risparmiare), senza il suo permesso. spero che non se la prenda troppo. sono disposto a censurare delle parti, se me lo chiedera', ma solo lui.

fine delle premesse.

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12.8.08

velocissimo

si potrebbero definire questi primi giorni di canada come: caldo porco-freddo della madonna.
cioe', sbalzi di temperature micidiali.
solo un breve post per dire che credo che rimarro' qui, e i miei post li scrivero' da qui.
ho deciso di mollare tutto e cambiare vita: vengo a fare il pizzettaro a montreal. sottoterra. oppure il pescatore di salmoni.
la fusione perfetta tra europa e usa. a parte il clima di merda.
ma narrero' di piu' nelle prossime puntate.
viva mordecai richler!