29.3.10

il profeta

il problema fondamentale del film è: chi sei tu?

non è un film sul razzismo, non è un film sull'immigrazione, non è un film sulla vita in carcere.

è un'epopea umana. dall'essere niente all'essere qualcuno. e per essere qualcuno servono potere e soldi. oltre che un po' di morti.

mi sembra di intravedere un filo tra quello che fu l'odio di kassovitz, che poi attraversa l'istinto di morte di jean-françois richet con vincent cassel, per arrivare a questo il profeta di audriard, che è forse il più bello dei tre, perchè li raccoglie tutti insieme.

è un'epopea umana come quella di un barry lyndon, di cui si racconta solo l'ascesa, che è contemporaneamente la discesa, e che è anche il simbolo dell'ascesa di un nuovo soggetto umano, e la discesa agli inferi degli esseri umani. scomodando paroloni tipo identità. che identità ha l'uomo contemporaneo? quella di recluso, quella che deriva dalla razza, dalla religione, dalle radici etnico-geografiche, dai soldi e dal potere? o forse da nessuna di tutte queste cose?

da niente a qualcuno, vivendo in carcere. senza integralismi, e solo con una legge, quella del proprio interesse personale raggiunta attraverso un'educazione alla violenza inizialmente senza controllo, ma poi lucidamente canalizzata verso una precisa strategia per raggiungere il potere.

è bellissimo, questo film. è coinvolgente, quasi "di genere", ma contemporaneamente d'autore (come gli altri due che ho citato), come capita qualche volta ai film francesi.

e uno si chiede: ma perchè da noi questi film non si riescono a fare?

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