21.9.10

brucia la città - giuseppe culicchia


la torino che conosco io non è questa.

la torino che conosco io, quella degli anni 90, è una città triste e severa, che nascondo nei suoi meandri una vita underground: ai murazzi non c'è niente se non giancarlo e il csa, in piazza vittorio c'è il caffè elena che è un bar da vecchi, i ragazzi vanno a ballare all'area e quelli più grandi al big, e poi al palace. c'è la lega dei furiosi, la zona tre galli non esiste, il quadrilatero romano è infrequentabile, san salvario è luogo di battaglie razziali. si va a bere al cammello, o alla birreria cairoli.

la torino che racconta culicchia è quella degli anni zero. ed è un'evoluzione di cui si vedevano i germi negli anni 90. la città di questo libro è quella post olimpiadi. è la torino da bere nata tra la fine dei 90 e gli inizio degli 00. è una città inondata di droghe, esteriore, fintamente felice, trendy, radical-chic fino al grottesco. una città in cui ogni weekend c'è una notte bianca, ogni giorno un vernissage, ogni settimana una festa ai muri a suon di droga e alcool. una città in cui l'alleanza tra politica e imprenditoria delle costruzioni gestisce la città. una città da basso impero, senza sette sataniche, ma con orge a cui partecipano dj e assessori, ricchi imprenditori e personaggi della "cultura". ci sono samuel e boosta con la lessa, la littizzetto con il tizio degli africa unite, la herzigova, davide ferrario, culicchia e figli di notai, dentisti, primari, politici.

una città come le altre grandi città italiane. come roma, come milano. sviluppo finto, vuoto culturale, politica dell'immagine. privilegi, mazzette, droga. notti bianche.

disorientati, i giovani torinesi descritti da culicchia, girano a vuoto. serate ai muri, frangette, tatuaggi poco sopra il culo, finti alternativi.

i germi di questa roba si vedevano già negli anni 90. figli di ricconi abbandonati a loro stessi in villoni della pre-collina, già allora drogati, fatti di acidi e canne, con genitori dediti alla meditazione in tibet, ma schiavi del lusso. ex-sessantottini, reduci da matrimoni sfasciati, nobili in decadenza, cortigiani della famiglia agnelli. questo strano intrigo tra intellettuali, case editrici, operaismo chic, alta borghesia aristocratica, è sboccato, dopo l'arrivo del dams, della film commission piemontese, delle olimpiadi, della scuola holden, in quello che è ora, vomitando tutti i difetti di un mondo plasticoso e vuoto. sviluppo apparente, nessuna base sociale costruita. nessuna identità emersa nella città, dalla città, in seguito al crollo della fiat. l'unica alternativa: assomigliare a milano. il lapoelkanismo portato all'assurdo permea torino in ogni sua manifestazione sociale, politica, culturale.

il libro è triste, grottesco, a tratti comico nella sua tragicità. nel retro di copertina si parla di un quadro di bosch di una metropoli (anche se torino non è una metropoli) italiana. vero.

eccessivo e apocalittico, comunque molto vicino alla realtà, gc descrive un mondo che conosciamo bene, e che si rivela ogni giorno sui giornali, nelle nostre vite.

da fuori, il mio legame con torino è diventato viscerale, come se fosse una parte di me, che mi piace e mi disgusta contemporaneamente. affascinante, magica, perversa. anche semplicemente, un buco di culo da cui scappare.

ecco. questo è l'effetto che fa questo libro.

6 commenti:

Marsy ha detto...

Offesa.

Marsy ha detto...

Offesa.

Marsy ha detto...

Offesa.

Marsy ha detto...

Offesa.

max ha detto...

ma perchè?

Marsy ha detto...

Perchè si, mi sento chiamata in causa.
(Questo magari non te lo posto 4 volte)