brucia la città - giuseppe culicchia
la torino che conosco io non è questa.
la torino che conosco io, quella degli anni 90, è una città triste e severa, che nascondo nei suoi meandri una vita underground: ai murazzi non c'è niente se non giancarlo e il csa, in piazza vittorio c'è il caffè elena che è un bar da vecchi, i ragazzi vanno a ballare all'area e quelli più grandi al big, e poi al palace. c'è la lega dei furiosi, la zona tre galli non esiste, il quadrilatero romano è infrequentabile, san salvario è luogo di battaglie razziali. si va a bere al cammello, o alla birreria cairoli.
la torino che racconta culicchia è quella degli anni zero. ed è un'evoluzione di cui si vedevano i germi negli anni 90. la città di questo libro è quella post olimpiadi. è la torino da bere nata tra la fine dei 90 e gli inizio degli 00. è una città inondata di droghe, esteriore, fintamente felice, trendy, radical-chic fino al grottesco. una città in cui ogni weekend c'è una notte bianca, ogni giorno un vernissage, ogni settimana una festa ai muri a suon di droga e alcool. una città in cui l'alleanza tra politica e imprenditoria delle costruzioni gestisce la città. una città da basso impero, senza sette sataniche, ma con orge a cui partecipano dj e assessori, ricchi imprenditori e personaggi della "cultura". ci sono samuel e boosta con la lessa, la littizzetto con il tizio degli africa unite, la herzigova, davide ferrario, culicchia e figli di notai, dentisti, primari, politici.
una città come le altre grandi città italiane. come roma, come milano. sviluppo finto, vuoto culturale, politica dell'immagine. privilegi, mazzette, droga. notti bianche.
disorientati, i giovani torinesi descritti da culicchia, girano a vuoto. serate ai muri, frangette, tatuaggi poco sopra il culo, finti alternativi.
i germi di questa roba si vedevano già negli anni 90. figli di ricconi abbandonati a loro stessi in villoni della pre-collina, già allora drogati, fatti di acidi e canne, con genitori dediti alla meditazione in tibet, ma schiavi del lusso. ex-sessantottini, reduci da matrimoni sfasciati, nobili in decadenza, cortigiani della famiglia agnelli. questo strano intrigo tra intellettuali, case editrici, operaismo chic, alta borghesia aristocratica, è sboccato, dopo l'arrivo del dams, della film commission piemontese, delle olimpiadi, della scuola holden, in quello che è ora, vomitando tutti i difetti di un mondo plasticoso e vuoto. sviluppo apparente, nessuna base sociale costruita. nessuna identità emersa nella città, dalla città, in seguito al crollo della fiat. l'unica alternativa: assomigliare a milano. il lapoelkanismo portato all'assurdo permea torino in ogni sua manifestazione sociale, politica, culturale.
il libro è triste, grottesco, a tratti comico nella sua tragicità. nel retro di copertina si parla di un quadro di bosch di una metropoli (anche se torino non è una metropoli) italiana. vero.
eccessivo e apocalittico, comunque molto vicino alla realtà, gc descrive un mondo che conosciamo bene, e che si rivela ogni giorno sui giornali, nelle nostre vite.
da fuori, il mio legame con torino è diventato viscerale, come se fosse una parte di me, che mi piace e mi disgusta contemporaneamente. affascinante, magica, perversa. anche semplicemente, un buco di culo da cui scappare.
ecco. questo è l'effetto che fa questo libro.
6 commenti:
Offesa.
Offesa.
Offesa.
Offesa.
ma perchè?
Perchè si, mi sento chiamata in causa.
(Questo magari non te lo posto 4 volte)
Posta un commento