22.10.06

niccolò ammaniti - come dio comanda


se guardate le classifiche di vendita di libri di questi giorni, scoprirete che al primo posto è balzato immediatamente come new entry il nuovo libro di giorgio faletti, che dopo il drive in ha ritrovato una seconda vita da stephen king all’italiana. poco sotto, il neo premio nobel per la letteratura orhan pamuk, turco. e poi, appena uscito, c’è anche il nuovo libro di niccolò ammaniti, ex esponente di quella corrente anni 90 che fu chiamata gioventù cannibale.

il mondo della cultura internazionale era stato all’inizio di quegli anni “sconvolto” dal successo di pulp fiction di tarantino, e il “fenomeno pulp”, contemporaneamente al “fenomeno grunge” nella musica, aveva saltato la barricata, uscendo dalla dimensione strettamente elitaria e cult per dilagare nel mainstream più popolare.
non mi sono mai piaciute le definizioni categoriche, infatti secondo me il grunge non è mai esistito, sono esistiti grandi musicisti e/o interpreti; non è mai esistito neanche il pulp, in senso stretto, quello del “sangue e merda” di bebo storti a mai dire gol. ma in questo supermercato letterario che siamo, vennero raccolti in un librino di stile libero einaudi una serie di racconti di quella generazione. la letteratura di genere, così come la musica, veniva così sdoganata e il grande pubblico cominciò a leggerne.

niccolò ammaniti era uno dei giovani scrittori promettenti: di lì a poco iniziarono le uscite, prima branchie, poi fango, poi ti prendo e ti porto via. l’ultimo capodanno.

ho adorato ammaniti. mi piaceva quella sua scrittura semplice e poetica, quelle storie bizzarre, che non erano affatto “pulp”, erano storte, storie di bambini difficili, piccoli holden, oppure ragazzi che cercavano delle vie di fuga. una visione nichilista me spensierata, fantasiosa, originale. solo fango aderiva al manifesto pulp in maniera rigida, e infatti non è un capolavoro. ti prendo e ti porto via sono quasi 500 pagine che volano, un vortice di personaggi; è uno di quei pochi libri che, nel finale, mi hanno fatto commuovere (ho conosciuto na perchè mi sarebbe piaciuto coinvolgerlo in un progetto teatrale, ma lui era già pieno di progetti editoriali e cinematografici...mi sono sentito uno sfigato, ma, mentre ci stavamo salutando dopo un’oretta di chiacchere, gli ho detto che alla fine di ti prendo e ti porto via avevo pianto...mi ha fatto un sorriso imbarazzato, mi ha ringraziato e io mi sono sentito una merda...).

poi è arrivato io non ho paura, bellissimo, scarno, profondo, un pugno nello stomaco. salvatores (regista estremamente sopravvalutato) è riuscito a farne il suo miglior film. le vendite. le ristampe. il successo, le traduzioni in 15 lingue. ammaniti è diventato una star.

quindi, ho comprato come dio comanda il giorno in cui è uscito e lo ho sbranato. e non mi è piaciuto.

penserete:”adesso ci dirà che siccome ha venduto troppo si è montato la testa e scrive per il grande pubblico”. vi prego, non pensate che io sia troppo superficiale.

allora: il libro è di 500 pagine. la volontà è quella di tornare alle atmosfere di ti prendo e ti porto via. molti personaggi, molti intrecci. scrittura veloce. molti punti di vista. i temi sono il rapporto padre-figlio, la malattia mentale, la provincia italiana e la sua decadenza, la religione e i suoi danni, tutto giocato con il nichilismo tipico di na e sullo sfondo il degrado morale e umano che ha subito il nostro paese (tutto il mondo?) negli ultimi 15 anni.

libro ambizioso, ricco di spunti. però, superficiale. tutti i temi sono trattati con un linguaggio certamente di impatto e comprensibile, ma di superficie. i personaggi sono raccontati, ma non scavati e scolpiti. la vicenda è interessante, ma scontata. a pagina 200 sai già come va a finire. ci sono tutti i clichè, dal ragazzo sfigato, al pazzo, alle ragazzine di provincia che fanno le fighette. ma non sono approfonditi. sono 500 pagine di una storia ben raccontata. certo non è poco, ma non è nulla di più. anche se l’obiettivo era quello di fare un affresco molto più ampio, simbolico, di un paese che muore nelle pianure della sua provincia devastata, economicamente e socialmente; un’italia in cui il rapporto umano è violento e violentato. il progetto sembra essere quello (troppo) alto di dipingere la realtà del paese, un po’ come uno scrittore della russia dell’800 calato nel 2006. i maestri sono gogol, dostoevski: na ha molto parzialmente l’ironia graffiante del primo, e nulla della profondità di indagine psicologica del secondo. grande visione, poco risultato, purtroppo.
il gioco che na sceglie è difficile e gli riesce solo in parte, una parte troppo piccola rispetto alla mole del libro e al fine che voleva raggiungere. è come se na avesse voluto abbandonare la vena fresca e originale della sua scrittura per buttarsi nel ritratto socio-economico di una generazione, utilizzando una storia mediamente già sentita. andrebbe bene se a fronte di un intreccio complicato ma prevedibile, ci fosse stata una riflessione maggiore sul resto. in realtà il libro si ferma alla narrazione, buona, ottima, di una storia. peccato.

mi spiace pensare e scrivere queste cose. sarà che avevo delle aspettative troppo alte per lui?

1 commento:

Anonimo ha detto...

come te caro max sono una fan accanita di ammaniti...come te ho comprato subito il libro e l'ho divorato e come te sono rimasta delusa...non mi sono affezionata ai personaggi come con il Briglia la prof, pietro e gloria...ma d'altronde riuscire a mantenere il livello di ti prendo e ti porto via o addirittura superarlo forse era impresa un po' ardua...
e poi il finale...dopo aver pianto nel leggere la lettera di pietro a gloria mi aspettavo un finale altrettanto intenso e invece...
vabbè pazienza...aspettiamo il prossimo...
ciau
cri