il giardino dei ciliegi - regia di nekrosius
una settimana per elaborare le 4 ore e 20 minuti in lituano del giardino dei ciliegi di cechov con la compagnia di eimuntas nekrosius e la sua regia mi sembra sufficiente.
l'uomo-regista è probabilmente uno dei più grandi maestri viventi attualmente nel mondo, insieme a peter brook, forse peter stein, forse castorf e marthaler.
ritornato a un cechov dopo l'esperienza de il gabbiano con l'école de maitre, questa volta mette in campo il meglio della sua compagnia: un gruppo di attori straordinario, con un affiatamento più unico che raro. un gruppo che sprigiona energia, vitalità e poesia contemporaneamente, in un testo che dipinge l'apice della decadenza romantica russa: la caduta in disgrazia dell'aristocrazia, l'ascesa di una nuova generazione di ricchi (simili ai nuovi ricchi russi contemporanei), l'indagine sui rapporti di forza psicologici all'interno di una famiglia che si avvia alla distruzione.
nekrosius e i suoi attori si allontanano dalle messe in scena classicheggianti all'italiana, e buttano dentro il dramma una carica di carne e sangue che lo rende affascinante e coinvolgente nonostante la difficoltà della lingua. il movimento, la gestualità, le luci, tutto nasce da un lavoro faticosissimo, ma dalla resa straordinaria, sull'improvvisazione che tira fuori e affresca i personaggi e le atmosfere con una chiarezza quasi eccessiva.
il dramma, la poesia, l'ironia, il tutto, sono trattati con una leggerezza che proviene dritta dal genio di quest'uomo dalla faccia burbera e un po' diabolica e dalla sua relazione con il resto della compagnia.
a chi contesta l'eccesso di "esteriorizzazione" dei personaggi (la ricerca sui personaggi viene tutta fuori, come dicevo, dall'improvvisazione; ogni personaggio esprime la sua profondità non solo con le parole, ma con gesti movimenti, molto caratterizzati, che li rendono di volta in volta drammatici, poetici, ironici), ribatto dicendo che la costruzione di queste immagini teatrali rompe la tradizione strettamente legata al teatro di compagnia all'italiana e ai suoi schematismi "tecnici", e chi non coglie questo aspetto manca secondo me di sensibilità.
ok, un difetto: l'ultimo atto poteva essere tagliato di mezzora.
l'uomo-regista è probabilmente uno dei più grandi maestri viventi attualmente nel mondo, insieme a peter brook, forse peter stein, forse castorf e marthaler.
ritornato a un cechov dopo l'esperienza de il gabbiano con l'école de maitre, questa volta mette in campo il meglio della sua compagnia: un gruppo di attori straordinario, con un affiatamento più unico che raro. un gruppo che sprigiona energia, vitalità e poesia contemporaneamente, in un testo che dipinge l'apice della decadenza romantica russa: la caduta in disgrazia dell'aristocrazia, l'ascesa di una nuova generazione di ricchi (simili ai nuovi ricchi russi contemporanei), l'indagine sui rapporti di forza psicologici all'interno di una famiglia che si avvia alla distruzione.
nekrosius e i suoi attori si allontanano dalle messe in scena classicheggianti all'italiana, e buttano dentro il dramma una carica di carne e sangue che lo rende affascinante e coinvolgente nonostante la difficoltà della lingua. il movimento, la gestualità, le luci, tutto nasce da un lavoro faticosissimo, ma dalla resa straordinaria, sull'improvvisazione che tira fuori e affresca i personaggi e le atmosfere con una chiarezza quasi eccessiva.
il dramma, la poesia, l'ironia, il tutto, sono trattati con una leggerezza che proviene dritta dal genio di quest'uomo dalla faccia burbera e un po' diabolica e dalla sua relazione con il resto della compagnia.
a chi contesta l'eccesso di "esteriorizzazione" dei personaggi (la ricerca sui personaggi viene tutta fuori, come dicevo, dall'improvvisazione; ogni personaggio esprime la sua profondità non solo con le parole, ma con gesti movimenti, molto caratterizzati, che li rendono di volta in volta drammatici, poetici, ironici), ribatto dicendo che la costruzione di queste immagini teatrali rompe la tradizione strettamente legata al teatro di compagnia all'italiana e ai suoi schematismi "tecnici", e chi non coglie questo aspetto manca secondo me di sensibilità.
ok, un difetto: l'ultimo atto poteva essere tagliato di mezzora.
3 commenti:
Mi piace molto questa recensione (..se devo dirla tutta mi affascina molto di più sentirti parlare di teatro che di musica!).
Bravo Max!
Polpy
uh...?!? solo perchè non ti piace la musica che ascolto...
Ma vaaa! ammetto che non conosco qualche gruppo / cantante di cui parli, ma non c'entra nulla. Mi piace moltissimo come parli del teatro, tutto qui.
:) Polpy
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