radiohead - in rainbows
Tornano i Radiohead e tanto per cominciare fanno la loro rivoluzione. Chi avesse lasciato una offerta libera su inrainbows.com, la mattina del 10 ottobre si sarebbe trovato nell’email un link che consentiva di scaricare legalmente le 10 tracce del loro nuovo lavoro, In Rainbows, in formato mp3. I maniaci possono in più acquistare per 40 sterline un megacofanetto con 2 cd, 2 vinili, poster, booklet e chi più ne ha più ne metta. Il primo ribaltamento vero del rapporto musicista-ascoltatore non mediato dalle case discografiche mainstream. Il primo esperimento di superamento vero dello sconquasso del mercato musicale mondiale. Il primo tentativo serio di ricercare nuovi modi di offrire musica al pianeta terra, superando il “problema” del p2p. D’altronde i Radiohead non sono nuovi a sperimentazioni e ricerche, finora solo musicali e artistiche, ora anche di marketing e vendita, considerando che ai loro livelli il prodotto artistico si scontra/incontra inevitabilmente anche con le logiche del mercato. Il loro approccio è sempre stato quello dell’autoescludersi dalle grandi major (pochi singoli, pochi video, poca promozione all’uscita dei dischi). Questa volta il segnale è anche politico. E la musica? Quella dei Radiohead, melodica, indie, con uso di strumenti nuovi e vecchi. La voce di Yorke? Cristallina, splendida, dolente. Un ottimo disco che non vede straordinari passi avanti dal punto di vista musicale.
9 commenti:
a questo indirizzo
http://www.pitchforkmedia.com/article/record_review/46356-in-rainbows
c'è una recensione del disco dei radiohead che lo giudica un superamento di hail to the thief. dice che questo disco è più fruibile, che sembra che i radiohead siano finalmente riusciti a scrollarsi di dosso quella smania di innovazione che li caratterizza da sempre e che spesso li ha resi di difficile ascolto (per la massa s'intende, mica per noi fighettiradicalchicintellettualmusicofili). in questo disco la band si sente e si fa ascoltare. è una tappa storica nella loro carriera musicale che li rende in qualche modo eterni e rappresenta la sintesi di un percorso che parte da ok computer.
io sono d'accordo? non lo so, ci sto ancora pensando.
tu sei d'accordo?
che ne penso, che ne penso...difficile dirsi...
ho riascoltato per l'ennesima volta stanotte il disco, e non cambio la mia idea. è vero, è un ottimo disco, alcuni pezzi strepitosi, ma il coinvolgimento di un capolavoro come kid a o ok computer non ce lo vedo. meglio di hail to the thief? forse...diciamo circa pari...ma nessun blazo imponente in avanti.
a mio giudizio, i radiohead hanno avuto una escalation qualitativa nel viaggio che passa attraverso pablo honey, the bends, ok computer, kid a, poi si sono stabilizzati, a un grande livello, ma fermi lì. i balzi in avanti che sono stati fatti tra un disco e l'altro dei primi 4 sono forse irripetibili.
comunque, i radiohead sono i migliori in questo momento storico della musica.
2 parole in + su questa rivoluzione "commerciale", anche perchè l'aspetto artistico è evidentemente fuori discussione... la vera notizia è pitchfork che recensisce bene un prodotto non di nicchia...
a mio parere la trovata di pagare quello che si vuole è solo divertente. basta. non ha senso in termini economici, non ha senso neanche "filosoficamente". se fosse un sistema di found rising per beneficenza in cui fai l'offerta libera per mele/piante/fiori lo capirei. così no... e allora tanto vale distribuire gratis. datemi del grillino ma non so cosa aspettino i vari "mastondoti" della musica a farlo. è noto che le rendite, di qualsiasi tipo, non producono innovazione. e la musica e non sfugge a questa legge. è anacronistico che oggi vi siano artisti o presunti tali che guadagnino facendo dischi. che facciano i musicisti, che suonino, tour e via. insomma andiamo ai concerti ma non compriamo i dischi. bb king fino a qualche anno fa ma già oltre i 70 suoi ha fatto anche 300 date l'anno. che valga la pena pensarci?
tornando ai radiohead, il merito è quello di essere arrivati primi in un corsa di lumache. certo hanno rotto il cartello, ma senza centrare l'obiettivo del tutto, obiettivo che rimane un po' ambiguo
caro sbs, sono d'accordo, ma credo che il punto stia proprio nel fatto che i radiohead hanno capito per primi che l'industria discografica così com'è è destinata a fallire. tutto sarà in rete e la musica sarà gratis. è incontrollabile e irreversibile, il fenomeno. quindi, tanto vale lanciare l'iniziativa degli mp3 praticamente gratuiti e puntare su quella nicchia di pazzi tipo me e mio fratello che spendono 40 pounds per comprarsi il cofanetto con vinili, poster cd...cioè sui fans veri. come recuperare i mancati guadagni?attraverso la pubblicità fatta sul sito dei radiohead che in questo modo, dando gratis la musica e vendendo cofanetti ai fanatici, aumentati i contatti, arriverebbe più sostanziosa. si tratta di una prospettiva. non l'unica.
caro max la tua prospettiva non mi convince e ti spiego perchè. i radiohead realizzano probabilmente l'ideale di ogni artista, ovvero diffondere il proprio lavoro senza intermediari. sono senza contratto. niente promozione. senza i vincoli di un'industria al capolinea come quella del disco. l'aspetto artistico è (o dovrebbe essere) slegato da quello commerciale. l'essenziale: solo musica. quello che tu dici invece sarebbe una radiohead spa... che arriva a differenziare il prezzo del prodotto estraendo tutto il benessere da quella nicchia di pazzi tipo me e mio fratello e facendo pagare poco o nulla (ma pur qualcosa) agli altri... tipo l'alitalia sulla roma milano insomma. senza dubbio la nicchia di pazzi tipo me e mio fratello paga le copie di in rainbows che abbiamo scaricato io, mio fratello, mio cugino e altri svariati parenti... questo non ha più a che fare con il business che con l'arte?... o forse siamo di fronte ad una nuova forma di pop art?
voglio dire che se fosse davvero come tu dici l'esperimento radiohead sarebbe ancora più contradditorio di quanto già non sia. molto più interessante sarebbe con un gruppo indie... peccato che i poster non se li filerebbe nessuno.
insomma tra arte e business non mi sembra che abbiano scelto con chiarezza la prima, ma neanche che stiano realmente proponendo un nuovo fattibile modello di business per la musica.
e allora? che il download continui.
sbs, non so chi tu sia ma sei sicuramente uno che ha fatto economia (giugi?) perchè il termine "benessere" utilizzato in quel modo non può essere che di un economista...o simili...vabbè...nel merito: sicuramente, "che il download continui", ma credo invece che la prospettiva che danno i radiohead sia molto plausibile, perchè trova il punto di contatto tra economics e arte. va raffinato il concetto, ma segnano una strada nuova. applausi.
chiamami cassandra.... dal corriere di ieri
un fallimento l'iniziativa pensata dai Radiohead per promuovere "In Rainbows"
I Radiohead traditi dal "paga quanto vuoi"
Tre fan su cinque non hanno versato neanche un centesimo per scaricare online il nuovo album
LONDRA (Gran Bretagna) - L'iniziativa dei Radiohead era ottima e rivoluzionaria: scaricare il nuovo album della band, "In Rainbows", pagando quello che si voleva. Anche nulla. Un’indicazione presa alla lettera da 3 fan su 5 della famosa band di Oxford. Stando, infatti, a un’indagine condotta dalla comScore, azienda che monitorizza il comportamento online di circa 2 milioni di "surfers" in tutto il mondo, il 62% dei 12 milioni di appassionati che si sono affrettati a fare il download del disco uscito un mese fa non ha sborsato nemmeno un centesimo.
FAN INGLESI RESTII - Nella logica del "paga quanto vuoi" (meglio se il meno possibile), i più restii ad aprire il portafoglio sono stati proprio i fan inglesi, che hanno tirato fuori una media di 2,24 sterline (3,20 euro) a testa, mentre quelli statunitensi sono stati leggermente più generosi con 2,98 sterline (4,20 euro). Solo il 12% ha sborsato una cifra compresa fra 3,90 e 5,80 sterline (5,60 e 8,30 euro). Il fallimento dell'esperimento dei Radiohead rappresenta un duro colpo anche per l’industria discografica, che guardava all’iniziativa con un misto di curiosità e speranza, visto il crollo vertiginoso delle vendite di cd l’anno passato (un terzo secco in meno) e l’aumento esponenziale della musica scaricata illegalmente.
«RISULTATO DEPRIMENTE» - «È un risultato deprimente – ha spiegato al Daily Mail Tim Dellow, co-fondatore dell’etichetta londinese "Trasgressive Records" – e questo dato scoraggerà sicuramente le band più piccole a riproporre un simile modello di business in futuro. I Radiohead avrebbero potuto fare un gran bel colpo, ma la loro iniziativa è fallita principalmente perché i loro fan sono cresciuti nel tempo grazie all’aiuto della major discografica e ai suoi canali di distribuzione e marketing». Secondo, invece, Fred Wilson della "Union Square Ventures", azienda di New York che promuove la musica sul web, la filosofia del "pay what you want" era destinata a fallire fin dal principio, perché appellarsi all’onestà dei fan per vendere dischi è un concetto ormai anacronistico, in un’epoca in cui milioni di persone già scaricano album illegalmente. «Questo risultato così negativo – ha spiegato Wilson - è la dimostrazione che per la maggior parte della gente la musica digitale deve essere gratis e che non vale la pena pagare un solo centesimo per averla».
Simona Marchetti
07 novembre 2007
avevo letto. ma rimango della mia idea che quella sia una strada da perlustrare...
un'altra risposta, di thom yorke!
LONDRA - Thom Yorke, il leader dei Radiohead, è un artista così puro, che si fa scrupolo persino di andare in tournée per paura di... inquinare. "A Firenze, la mia meta preferita, vado sempre in treno con mia moglie e i bambini. Gli aerei avvelenano l'aria", dice l'artista, 39 anni, addentando il suo veggie burger in un pub londinese dove nessuna rockstar metterebbe mai piede. Come avrebbe potuto, uno come lui, continuare a far dischi senza porsi domande?
Il cantante che si è rifiutato d'incontrare Blair nella famosa tavola rotonda sul riscaldamento globale e ha detto di no a Paul McCartney che l'aveva invitato a suonare, ha fatto tremare l'industria discografica e il mondo del rock: lo scorso 10 ottobre i Radiohead hanno deciso di vendere on line le canzoni di In rainbows, il loro settimo album, accettando qualsiasi offerta (anche zero euro) per il download. Molti colleghi (Lily Allen, Pearl Jam) li hanno definiti arroganti; altri (Courtney Love, la cantante lirica Barbara Hendricks) stanno seguendo le loro orme.
Il disco (in cd e vinile) uscirà per un'etichetta indipendente (XL Recordings) il 28 dicembre, dopo Natale, contro ogni regola di mercato ("Solo perché molti non si accontentano delle canzoni scaricate, vogliono l'oggetto. Anch'io adoro il vinile"). Gli editorialisti inglesi li hanno quasi unanimemente condannati. E gli organizzatori dei Brit Awards non li hanno neppure presi in considerazione per un eventuale premio. I loro fan italiani avranno comunque modo di applaudirli il 18 giugno: unico concerto a Milano.
"Ma non è vera la notizia secondo la quale il 70% non ha pagato", protesta Thom "I dati li conosciamo solo noi. La prima settimana ci sono stati 1,2 milioni di download, a una media di 6 euro ognuno (circa il 50% ha pagato zero). Hanno detto che è stata una scelta radicale, ma date le circostanze era l'unica possibile. Quando hai finito di registrare un disco, se vuoi farlo arrivare subito all'ascoltatore, non hai altro mezzo che la rete. È un esperimento che i Radiohead si sono trovati in condizione di fare per una serie di circostanze fortunate. Tre in particolare: la scadenza del contratto discografico, il privilegio di avere uno zoccolo duro che li conosce e li apprezza, il fatto che la maggior parte dei loro fan ha familiarità con Internet".
La vostra decisione ha scatenato un putiferio. Qual era il vostro scopo?
"Dimostrare che non c'è bisogno di tutte queste infrastrutture per far arrivare la musica alla gente. Il processo industriale serve solo a sottrarre guadagni agli artisti e a rendere il disco sempre più costoso. Un tempo l'industria lavorava per far conoscere i giovani artisti, oggi invece le major tendono a eliminare chi non ha un riscontro commerciale immediato. Poco importa il talento, gli artisti vengono continuamente mortificati, umiliati".
Prima si diceva: l'industria sta uccidendo la musica. Oggi la stessa accusa è rivolta ai Radiohead.
"Nessuno sarà mai in grado di uccidere la buona musica, che troverà sempre un canale, magari sotterraneo, per esprimersi. Ma certamente il lungo processo che precede la pubblicazione di un disco, la politica che ci gira intorno e l'ego di alcuni artisti non giovano alla riuscita - artistica ed economica - del prodotto. Per questo, dalla nostra posizione privilegiata, non ce la siamo sentita di confrontarci di nuovo con l'industria".
Non deve essere stato facile farlo per quindici anni e sei album.
"A essere del tutto onesto, con la Emi non abbiamo mai avuto grossi problemi. Ci hanno sempre lasciato ampia libertà. Il nostro non è un gesto contro le persone con cui abbiamo lavorato, ma contro un sistema di acquisti e fusioni che ha portato alla creazione di queste maledette multinazionali. E nessuno si è preoccupato di venirci a raccontare quel che è successo, come se la cosa non riguardasse anche noi. Non siamo fottute scatole di biscotti!".
Ora è tutto sulle vostre spalle, il peso della creatività e quello del marketing.
"Le sembrerà sacrilego, ma io il marketing lo trovo quasi affascinante. Le questioni pubblicitarie sono di per sé così odiose che cercare di risolverle in maniera creativa è una sfida per un artista. Se riesci a non farti mettere soggezione dalla parola - marketing, bruttissima - puoi fregartene delle loro regole, e il gioco diventa divertente. Tutte quelle piccole pazzie che si possono cucire intorno alle canzoni, come il testo di Paranoid android scritto su un gigantesco poster".
Coerenza e onestà, prima di tutto. È questo il motivo per cui ha detto di no a McCartney?
"Paul mi ha chiesto di suonare il piano in una delle sue canzoni, ma non sono in grado di farlo, io so solo strimpellare. È stata sua figlia Stella, che è una nostra fan, a insistere: "Dai papà, chiamalo..."".
Ha mai rimpianto di non essere un protagonista de periodo aureo del rock, fine anni 60 primi anni 70, quando l'industria tollerava l'incoscienza degli artisti pur di non limitarne la creatività?
"È un'idea romantica, affascinante, ma ognuno è figlio del suo tempo. Al contrario di tanti musicisti dell'epoca, che sono stati letteralmente frodati dalle case discografiche, noi siamo entrati nel music business in maniera consapevole. Per questo ci teniamo stretta la nostra musica e siamo arrivati a questo punto prima di altri".
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