la versione di massimo - un po' di quebec
primo obiettivo, quebec city, poi, un po’ di parchi.
man mano che ci allontaniamo, le stazioni della radio diventano drammaticamente più francesi.
l’illusione di montreal multiculturale finisce. in quebec parlano francese, e basta. e pure un francese intransigente, difficile, sboccato, ruvido. contadino. insomma non si capisce un cazzo. edino imperterrito continua a parlare a tutti in inglese, cocciuto come un mulo. soprattutto chiede espressi da tutte le parti. la brodaglia sporca che ci spacciano per caffè peggiora mano a mano che saliamo verso nord.
l’autostrada comoda ci porta verso quebec city in un tempo breve. naturalmente la nostra scelta radicale di non prenotare nulla ci fa perdere un botto di tempo per trovare un tetto sotto cui riparare le nostre stanche membra.
quebec city è la città più antica del canada e una delle più antiche di tutta l’america del nord. quest’anno “compie” 400 anni dalla sua fondazione, e centinaia di festeggiamenti sono previsti per tutto l’anno. mentre noi siamo in quebec, celine dion canterà in un concerto gratuito dove sono previste oltre 150.000 persone.
la città alta e la città bassa sono carine. stradine quasi medievali, bei palazzi antichi, molto verde, molti parchi, una posizione meravigliosa sul san lorenzo. il problema è il turismo, che ha reso la città una specie di disneyland. giriamo un po’ dappertutto, ma la cosa più positiva che troviamo è un ristorante dove davvero sembra di essere in europa. abituati al cibo nordamericano di montreal, arrivare qui e mangiare il fegato con cipolle e lo stufato ci sembra il paradiso. a un prezzo sensato.
quello che è insensato è che dormiamo in un motel che neanche hitchcock avrebbe immaginato più inquietante. una specie di energumeno, che parla una lingua incomprensibile, probabilmente aliena, ci accompagna in una deliziosa stanza numero 13, moquette, insegna al neon rossa che brilla. un luogo per puttane.
scappiamo da quebec city, un po’ delusi.
risaliamo il san lorenzo sulla costa occidentale, e arrivamo nella zona detta charlevoix. montagne, prati verdi, laghi e fiumiciattoli. sembra di stare in svizzera.
secondo motel a baie saint-paul. molto meglio del primo però. e finalmente un parco. il parc des grands jardins. subito programmiamo: giornata di trekking e giornata di kayak. brokeback mountain, detta anche, per gli esperti, “vacanza alla toni”. non ci facciamo prendere dalla passione campeggiati su una tana di puzzole.
montiamo: edo jeans con cintura svariata con bandiere del mondo, maglietta fred perry, ma poi sostanzialmente torso nudo, gilerino di montone e cappello da cowboy; io giacca jeans a carne con inserti in pelle scura, bolas al collo su petto nudo.
a parte gli scherzi, ci spacchiamo il culo per 5km in scalata per arrivare in cima a un monte. con il kayak non ci ribaltiamo nelle rapide, ma poco ci manca.
edo vaga alla ricerca di un espresso, e finalmente sembra aver trovato il suo posto ideale. ordina un “moka”. come è noto, non molti ristoranti in italia fanno il caffè con la moka, forse uno a napoli, forse uno a milano. ma qui, a baie saint paul lo fanno. chissà perchè...naturalmente il sogno di edo si infrange contro un bicchierone di vetro stracolmo di latte montato e nescafè. neanche un tedesco si beve quella roba. grande edo.
ulteriore viaggione in macchina per il fiordo del sanguenay. ci aspettiamo alci a nastro, orsi a nastro, marmotte a nastro, castori a nastro.
arriviamo ad anse saint jean mentre michael phelps sta vincendo la sua settima medaglia, eguagliando mark spitz. un ragazzino vagamente deformato con un busto sproporzionato rispetto al resto del corpo, delle braccione lunghe lunghe e le orecchie a sventola. è questo mp, quando sua mamma lo manda a fare nuoto per risolvere un problema di concentrazione che ha da quando è piccolo. ora quel ragazzo è considerato il miglior atleta olimpionico di tutti i tempi. quel tuffo da delfino, quelle braccia come pinne, quel fisico incredibile gli fanno polverizzare tutti i record e vincere ben 8 medaglie d’oro. il migliore.
noi siamo ad anse saint jean, e parliamo di phelps, ce lo vediamo anche in quella casetta degli orsetti del cuore in cui stiamo, ospiti di una coppia di simpatici vecchierelli. ma anche di juve, parliamo. anzi molto di juve. mentre ci arrampichiamo su per una nuova montagna come dei perfetti esperti di trekking francesi o australiani, con tanto di scarponcini, zaino con acqua, ecc., un paio di bambine di 8 anni con ai piedi delle infradito ci superano canticchiando e giocando a rincorrersi. mi comincio a deprimere. ma edo mi tira su subito su il morale cominciando a elencare i migliori cori da stadio juventini. e uno mi rimane impresso come una poesia imparata alle elementari. con acume poetico e grande visione artistica, i tifosi juventini non riescono a stare lontani dalla loro squadra del cuore, e per questo intonano:
da napoli a brescia
da roma a milano
in tutti gli stadi noi siamo
magicaaaa juveeee
io senza te
non so stare
ày ày yayày
maaaagiiica juveeeee
resiste il mio cuore lontano da te
soltanto se penso alla FIGA
la camminata, i ragazzini in infradito che ci superano mentre scaliamo sotto la pioggia con una fatica titanica la montagna sul fiordo...ma quando iniziamo a cantare l’inno da stadio, ci si ritempra il cuore. come starà amauri con del piero? meglio poulsen o xabi alonso per l’economia delle squadra? secondo me arriviamo ancora terzi, dietro a inter e roma...
comunque, il sanguenay è strepitoso, anche se a malapena vediamo una puzzola e uno scoiattolo. alci e orsi si nascondono nella foresta per il caldo e a noi non resta che immaginarli e guardarli sui cartelli stradali che avvertono di invasioni stradali da parte degli animali.
l’ultimo tratto di strada che ci riporta verso sud è molto lungo ma molto bello. laghi e foreste. in autunno gli alberi che ora sono verdissimi, si tingono di rosso, arancione, marrone e regalano, ci raccontano, spettacoli stupefacenti. già così, tutto verde, il panorama è stupendo. la radio quebecchese è tragica. solo musica anni 80, solo i love rock ‘n roll, solo shout dei tears for fears. come cazzo fanno? a un certo punto però, viene fuori una roba strana. sono dei tizi che con delle chitarre acustiche coverizzano pump up the jam dei technotronics, gruppo cult dei primi 90, inventore della moderna musica techno. minchia che strani. carini però. poi si ripiomba su livin’ on a prayer di bon jovi, cazzo, per l’ottava volta.
scegliamo trois rivierès come ultima tappa prima del ritorno ad halifax.
trois rivières non è male, ma c’è solo una strada con un minimo di vita umana. un raduno di motociclisti ravviva con il rombo del motore il mortorio di città. dopo l’ennesima bistecca e petto di pollo, sentiamo arrivare da un locale della musica dal vivo e ci piazziamo fuori. c’è molta gente in delirio. chiccheriamo, e intanto ascoltiamo questi qui che suonano jazz. piano piano ci rendiamo conto che stanno facendo in versione jazz roba tipo you shook me all night long degli ac/dc, billie jean di micheal jackson, insomma tutte le canzoni che vanno di più in quebec, indietro di tipo 20 anni. aguzziamo le orecchie e capiamo che sono gli stessi musicisti che coverizzano pump up the jam. entriamo. degli orsi femmina si dimenano in pista da ballo e puntano edo con occhi assassini.
questi tizi si chiamano lost fingers e sono i campioni di vendite dell’estate quebecchese. più di madonna, più dei coldplay e di altri. un dei giusy ferreri canadesi. i lost fingers suonano due chitarre acustiche e un contrabbasso, sembrano i gatti degli aristogatti quando romeo porta i gattini a sentire la musica, creano un’atmosfera da cartone animato, suonano benissimo e sono divertenti come quel film d’animazione, appuntamento a belleville (les triplettes de belleville) che peraltro citano esplicitamente. insomma, questi 3 simpatici quebecchesi vendono tantissimo, prendono in giro (ma contemporaneamente ci credono) i miti anni 80 (sarà questa la chiave? i quebecchesi, con quello spirito simpaticone e chiaccherone, prendono in giro i loro stessi miti? è per questo che si sente solo quella musica lì?).
soddisfatti, chiudiamo l’esperienza a trois rivières con la seconda grande profezia di edo: “no max, a trois rivières non piove”. un istante dopo, un diluvio universale manda in black out la cittadina. edo, cristo, stai zitto.
siamo arrivati, per chi ha avuto la pazienza di seguirci fino a qui, alla fine del racconto.
torniamo a montreal, prendiamo un aereo e ci ricacciamo a halifax.
halifax mostra ancora di più il suo lato grunge, al nostro ritorno, piratesco, celtico. zuppa di aragosta in pub, hamburger e un duo chitarra, violino e voce nella migliore tradizione celtica.
matthias steiner vince la medaglia d’oro nel sollevamento pesi sollevando un peso abnorme che mai aveva sollevato prima. lo aveva promesso alla moglie, quest’oro, dopo che lei era scomparsa in un incidente stradale. steiner piange e si porta la foto della moglie sul podio. io mi metto a piangere.
halifax è fredda e a sto punto non vediamo l’ora di salire sul nostro aereo per mangiarci un’altra insalata con il gel.
ps. ah già, le foto...eccole qui, e anche nella colonna dei link.
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3 commenti:
Grande Max...
Bellissimo!!!!
G
By the Way...
...Max, anche io soffro del vizio di chiedere un espresso in qualunque parte del mondo...
Capisco Edo. Purtroppo e' piu' forte di me. Ho buttato cosi' tante brodaglie...
Giulioball
grazie ano...ma li hai letti gli altri post sul viaggio o hai letto solo questo ultimo?
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